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Domande inutili

“Ma cosa pensi che sia l’amore?”
“Ma che domande mi fai? Pensavo l’avessimo superata la fase adolescenziale in cui i ragazzini si chiedono cose a cui è impossibile trovare una risposta.”

L’aria era tiepida e dal prato iniziavano a far capolino le prime margherite. Le stesse che di lì a poco sarebbero scomparse senza una ragione precisa. Questa faccenda delle margherite di campo le aveva sempre lasciato una sensazione di angoscia. La loro improvvisa apparizione ma soprattutto la loro scomparsa che avveniva senza che lasciassero un segno della loro presenza, le creava un certo disappunto. Era sempre stata dell’idea che è bene lasciare traccia di sè e per questo per un periodo aveva iniziato a collezionare sassolini. Li aveva segnati con una X rossa e messi poi in un barattolo di vetro smerigliato. Ogni tanto li osservava. In caso di bisogno, li avrebbe sparsi in giro.
Poi si sa come funziona. Il tempo guarisce le ferite, risana i rapporti ma fa perdere anche molte cose. Accendini, persone, sentimenti e collezioni di sassolini.

“Non c’è bisogno che te la prendi…”
“Non me la prendo, non mi piacciono le domande inutili.”

E mentre stavano lì, in silenzio, ognuno perso nelle proprie cose, lui le offrì l’estremità del cono gelato che stava mangiando.

Forse l’amore non è fatto di parole. È fatto di gesti rituali che si perdono nell’infinità dei gesti banali del quotidiano. Come la puntina di un gelato regalata che dentro nasconde un’anima di cioccolato.

Lady B.


“Chiedo allo chef”

Se c’è una cosa di cui sento la mancanza è uscire la mattina per comprare il giornale e andare a fare colazione al bar sotto casa.

O meglio, il giornale si può comprare ma non è così semplice poichè devi farti capire dall’uomo del giornale. Che non è l’edicolante perchè di edicole non è che se ne vedano tante.
L’uomo del giornale è un signore che ha una pila di quotidiani polverosi sparpagliati sul ciglio della strada e che, per partito preso, ti guarda storto. “Non vorrai mica comprare il giornale?” sembra volerti dire.

Una mattina decido di andarmi a fare una passeggiata. Si stava già configurando come una giornata in salita per via delle solite banalità. First Floor aveva finito l’acqua del tank mentre mi stavo lavando i capelli (provateci voi a togliere un quintale di schiuma dalla testa con l’aiuto di una bottiglietta di minerale); il gatto aveva rotto in rapidissima successione tre bicchieri e una scodellina di ceramica; il caffè era finito e mi ero schiacciata tre dita nell’armadio. Due passi ci volevano. Dunque esco. E mi imbatto nell’uomo del giornale.
Con fare educato, gli chiedo un quotidiano. Mi guarda storto e si gira dall’altro lato. Ci riprovo. Niente. Mi inizio ad innervosire e impreco in italiano e lui chiaramente mi risponde in hindi. Dopo circa un quarto d’ora di battibecco, che aveva attirato anche l’attenzione dell’artista del bambù, del fioraio e di un guidatore di tuk tuk, l’uomo si decide. Tuttavia considera che il quotidiano sia un po’ troppo per me, quindi mi molla una copia del Novella 2000 locale. Pazienza, penso, l’importante era andare via da lì con qualcosa. Mentre continuo nel mio giro, vengo folgorata da una visione paradisiaca. Proprio a 5 minuti da casa ha aperto quello che sembra essere proprio un bar. Si, un bar.
Ho il giornale, manca solo il cornetto. Traboccante di entusiasmo, entro. Il posto è deserto. O meglio, io sono l’unico avventore, tuttavia noto la presenza di almeno 10 camerieri. Che mi si avvicinano tutti in contemporanea provocandomi una strana sensazione di soffocamento

“Hello Madame! Coffee? Tea? Masala tea? Juice?” dice uno
“Brioches? Brioches?” un altro.
“Fresh fruit? Guava? Litchi?” riprende un terzo.
Vado un po’ in confusione. Che volevo?

Chiedo cosa c’è dentro i cornetti. E il vuoto pneumatico si diffonde per il locale. Non si sente più volare una mosca e io inizio a sentirmi un personaggio scomodo. Devo aver fatto una domanda inopportuna, come spesso mi accade.
Mi si avvicina il più intraprendente “Non sappiamo cosa ci sia dentro i cornetti. Dobbiamo chiedere allo chef.” Lo chef? Quindi si allontana e scende due rampe di scale. Un altro mi fa segno di attendere. Non so se accomodarmi, quindi rimango con un’espressione colpevole in un angolo. Con 9 camerieri che mi osservano con disappunto. Dopo quasi 10 minuti, torna il ragazzo che inizia a elencarmi i nomi di tutti i cornetti. Tutto in hindi. “Non ci ho capito nulla. C’è un cornetto semplice?” Si guardano di nuovo. Questa volta il disappunto viene sostituito dal panico. “Vado a chiedere allo chef” e si riprecipita giù dalle scale. Sono passati 20 minuti da quando sono entrata e non sono ancora riuscita a capire se posso prendere un cornetto. “Si Madame. C’è il cornetto semplice.” Bene. Quanto costa? “Non mi occupo dei prezzi. C’è la mia collega alla cassa. Chiedi a lei.” Il superfluo ci ucciderà, penso. Mi reco alla cassa.”Quanto costa un cornetto?” “Che cornetto?” “Semplice” Silenzio “Devo chiedere allo chef”. Ma come? Si lancia giù dalle scale e nel frattempo cerco di ottimizzare ordinando un caffè. I minuti passati sono diventati 30. “Posso avere un caffè?” Chiedo al ragazzo del bancone. “Yes Madame” e rimane immobile, con un sorriso un po’ ambiguo. “Non lo prepari?” “Yes Madame”, dice, rimanendo nella posizione “statua di sale”. 40 minuti, ed è quasi ora di pranzo. Mentre mi guardo intorno alla ricerca di un vaso di ferro da tirare con forza in testa a quello che, palesemente, non mi sta preparando alcun caffè, torna la ragazza che deve aver chiesto minuziosamente allo chef il metodo di preparazione di tutti i cornetti. “Sorry Madame. Non abbiamo cornetti semplici.” Sento che la vena in mezzo alla fronte mi inizia a pulsare, segno inequivocabile di manie omicide. Ho veramente bisogno di un caffè. 45 minuti. “Ok, non importa per il cornetto. Vorrei un caffè”. Mi fa segno di sedermi e, dopo 50 minuti, finalmente mi accomodo e apro il mio Novella 2000. Torna la ragazza “Sorry Madame, niente caffè per oggi.” Valuto se farle assaggiare il giornale. E’ passata un’ora. “Come niente caffè? Ma non potevate dirmelo prima?” “Yes Madame”. Mi alzo e faccio per andarmene. “Aehm Madame” “Mh?” “Devi lasciare la mancia” “Ma per cosa?” “Ti sei seduta al tavolo” Vorrei prenderli tutti a sediate. 65 minuti. Cerco nelle tasche qualche monetina e, non trovandola, le lascio in eredità Novella 2000 che, come avevo avuto modo di apprezzare, era tutto scritto in hindi.

Esco. Provata come se avessi affrontato sei colloqui di lavoro. Inizio ad andare verso casa quando mi suona il telefono. E’ l’uomo che questa mattina ha finito il caffè a casa e che, nonostante questo, suscita in me solo sentimenti d’amore. “Ma che fine hai fatto? Sono a casa ma non c’è nessuno…”
Posso dirgli che ho passato due ore sotto casa nel tentativo di comprare un giornale e di andare al bar senza riuscirci? No, non posso. “Sono andata al parco a riflettere. Sto arrivando” “Ok” dice lui che però in cuor suo sa che gli sto raccontando una cazzata. Tuttavia è un uomo straordinario che, a 30 anni, sa che le bugie bianche si possono dire.

E che non le porti un paio d'uova sul raccordo?

E che non le porti un paio d’uova sul raccordo?

“Era buono il caffè?” mi sussurra dolcemente quando rientro, togliendomi dalla testa dei ragni che avevano deciso di fare il nido tra le mie chiome.
Vorrei tanto colpirlo con una bottiglia ma decido di soprassedere. La pazienza è tutto in India.

Lady B.