Attenta a dove metti i piedi!

Quando avevo cinque anni, ma pure quando ne ho compiuti 25 di anni, mia madre mi ripeteva di continuo “attenta a dove metti i piedi!”
Era una specie di mantra.
Stavo mangiando una fetta di prosciutto seduta su una panchina? “Attenta a dove metti i piedi.”
Guardavo la televisione sul divano? “Attenta a dove metti i piedi.”
Nemmeno se fossi stata una piovra avrei avuto così tanti piedi a cui badare.

Eppure…

Eppure, mediamente una volta l’anno, mi sono sempre riuscita a rompere con regolarità uno o due dita dei piedi.
Sempre in modo fantasioso.
Il momento più doloroso è stato in campagna,un posto che odiavo dove non c’era nulla da fare e in cui i miei genitori si ostinavano a voler spendere parte delle nostre vacanze estive per via dell’aria pulita che si respirava. Ho sbattuto con forza il mignolo nudo contro un muretto a secco e saltellando (scalza) per il dolore ho messo l’altro piede su un riccio di castagno.
E mentre mia madre mi levava le spine di quello stupido riccio con una pinzetta, non curandosi affatto che il mignolo aveva triplicato il suo volume ed era anche stranamente moscio, venivo intrattenuta dalla stessa con una conferenza sui vari modi in cui si poteva stare attenti a dove si mettevano i piedi.
Con gli anni le cose non sono migliorate ma ho fatto una scoperta.

Se sto attenta a dove metto i piedi, non posso stare attenta a nient’altro.

Quando cammino il mio sguardo punta costantemente a terra per controllare la direzione presa dai piedi. Ed è chiaro che, impegnata come sono, non ho modo di fare altre attività. Tipo chiacchierare. In effetti le passeggiate con me sono di una noia mortale.
Se sto mangiando un gelato, di camminare non se ne parla nemmeno perchè questo implicherebbe la combo “mangiare-guardare a terra” senza beccare nemmeno un palo in fronte. Impossibile.
Se sono a un buffet mi devo necessariamente posizionare nell’angolo più strategico, quello delle mozzarelle e degli affettati, così devo solo allungare una mano e riempirmi il piatto. Rimanendo in religioso silenzio.
Non sono affatto multitasking e questo sta avendo delle torbide ripercussioni sulla mia vita sociale. Le gente pensa che io sia una stronza che non vuole interagire col prossimo mentre tento solo di salvaguardare me stessa da incidenti potenzialmente mortali.

Ma quest’estate ho deciso di fare la matta.
Quest’estate, camminando con la mia metà migliore in spiaggia, ho deciso che volevo liberarmi dai dettami imposti da mia madre. Affanculo a dove metto i piedi! Voglio passeggiare libera, guardando dove mi pare, chiacchierando con chi mi pare e sciogliendo i miei capelli ispidi al vento.
E mentre scruto l’orizzonte passeggiando, ribelle come non mai, sento una fitta orrenda alla pianta del piede.
Abbasso lo sguardo e noto che un cardo spinosissimo, o meglio un cespuglio di cardi delle dimensioni di un pallone di calcio, mi era venuto incontro festante per poi conficcarsi subdolamente nella pianta del piede.
Mentre sono seduta in modo scomposto a terra, con la sabbia che mi si infila ovunque ma in particolar modo negli occhi per via dello stesso vento che prima mi accarezzava le chiome setolose, e maledico tutto e tutti mi ricordo anche di una cosa. Successa almeno 25 anni prima.
Quando, avendo deciso di non prestare attenzione a mia madre, ho iniziato a correre in spiaggia e sono incappata in un cardo spinosissimo, forse lo stesso di adesso, che mi si era infilato nella pianta del piede e non voleva saperne di trovare altra collocazione.

La mia metà migliore tenta di aiutarmi ma io ormai sono piena di sabbia, piena di cardi e piena di rancore. Estirpo il cardo e lo lancio ma, visto che non sono nemmeno particolarmente brillante, lo lancio controvento così mi colpisce di striscio pure una chiappa.
Riprendiamo la nostra passeggiata in silenzio, io guardo intensamente la punta dei miei piedi e mi chiedo perchè Proust potesse viaggiare nel tempo con le madeleines mentre a me la vita ha riservato degli stronzissimi cardi.

Lady B.


Un’ennesima chanderata

 
Oggi Arti è arrivata con una faccia nerissima. Mentre Chander aveva un’espressione da cane bastonato.
 
“Arti cosa succede?”
“Madame, succede che io voglio rinascere gatto nella prossima vita. O anche mucca. Oppure rospo. Tutto ma non voglio mai più rinascere come moglie di Chander.”
“Oh.”
“Sai che ha fatto questo mentecatto?”

No. Ma immagino che non sia una cosa bella.

“Gli ho detto di andare a ritirare i soldi al bancomat e che io lo avrei aspettato in macchina. È tornato e siamo ripartiti per venire qui. A metà strada gli ho chiesto dove avesse messo i contanti e ha tirato fuori la ricevuta del bancomat. Gli ho detto che quella era la ricevuta e non i soldi. Madame, il mentecatto aveva buttato via i soldi nel cestino del bancomat e si era messo in tasca solo la ricevuta! Siamo tornati al bancomat di corsa ma i soldi non c’erano più…”
“Accidenti. Mi dispiace Arti…”
“No Madame, non devi dispiacerti tu. Devo dispiacermi io. Cosa ho fatto di male per meritarmi un marito così?”

Non credo di avere una risposta a questa domanda. Di sottecchi guardo Chander che ha un’aria veramente afflitta.

“Arti dai perdonalo, non vedi come è triste?”
“Madame è triste perchè l’ho picchiato con il giornale e gli ho detto che sarei andata alla polizia perchè una cosa così stupida era da denuncia.”
“Mh.”
“E sai la cosa più assurda? Ci ha creduto! Ora pensa che verranno i poliziotti ad arrestarlo.”

Chander, non preoccuparti qui sei al sicuro: non permetterò che ti arrestino per eccesso di stupidità però adesso, per favore, smettila di passare l’aspirapolvere sulle foglie del banano.

Lady B.

G


Lunedì in salita

Ieri si è consumato un dramma nazionale qui in India. Una cosa veramente molto seria, tant’è che stamattina il mio fruttarolo di fiducia era chiuso e aveva listato a lutto il negozio; l’omino delle consegne non ha voluto consegnare proprio un bel niente e Satish non solo si è presentato con il consueto ritardo ma ha sbagliato circa quattro volte strada e ci abbiamo messo ore per arrivare alla nostra destinazione.

“Satish, ma che ti prende? Anzi, che vi prende a tutti stamattina?”
“Madame, ma non leggi le notizie? È successa una cosa terribile.”
“Oddio…cosa è successo?”
“Madame. L’India per la prima volta nella storia, ha perso la finale di cricket contro il Pakistan.”
“E questo è male?”
“Male? Dici male Madame? Questo è un disastro! È come se l’Italia perdesse ai mondiali di calcio contro la Repubblica di San Marino!”
“Satish…tu conosci la Repubblica di San Marino?”
“Madame non voglio parlare oggi. Voglio stare in silenzio e non voglio manco sentire la radio.”

E niente, rimaniamo in silenzio, bloccati nel traffico del lunedì che però era molto meno chiassoso del solito.

“Comunque Madame ho scoperto che l’India è fortissima in un altro sport. L’hockey sul ghiaccio e da ora in poi io seguirò solo quello.”

Mh.

L’hockey.

L’hockey sul ghiaccio.
In India.

(P.S. per dare la cifra del disastro nazionale, allego video di uno spot del 2015 da cui emerge chiaramente lo spirito sano con cui l’India affronta le partite di cricket contro il Pakistan. Non so a voi a me comunque alla fine un sentimento di simpatia ‘sto Pakistan me lo suscita. Ma non diciamolo a Satish)

Lady B.


New age un corno.

Un gruppo di scimmie ha rotto il sacchetto dell’umido e ne ha tirato fuori tutto il contenuto. Fuori ci sono 45 gradi e il contenuto sta iniziando a produrre degli effluvi che mi ricordano con prepotenza Malagrotta. Non posso nemmeno raccoglierlo perchè la scimmia più grande sta davanti alla porta, mi guarda male attraverso la zanzariera e io ho imparato che se c’è una cosa che non va fatta è fronteggiare una scimmia incazzata.

I gatti hanno passato la notte a farsi le unghie sui divani buoni. Quelli che avevamo comprato in Italia e su cui ci siamo imposti di non mettere i piedi “sennò si macchiano”. I divani delle grandi occasioni. E, perdio, mentre penso a questa frase credo di essere pronta al circolo bocciofilo perchè il divano buono, il corredo buono, il servizio buono erano le manìe di mia nonna. Cioè le manìe per cui la prendevo in giro.

In lavatrice intanto le camicie della mia metà migliore sono diventate tutte rosa. Non è la prima volta che diventano rosa. Ciclicamente decidono che il bianco non gli sta più bene e nascondono il solito stramaledetto calzino rosso fra le pieghe delle loro candide maniche. Senz’altro non sono io a mettercelo, quel calzino. E mi ritrovo a pensare perchè ancora non li abbia buttati ‘sti calzini rossi che peraltro sono uno schiaffo al buon gusto.

Le piante in terrazzo sono quasi tutte morte, devono aver aspettato il favore delle tenebre per suicidarsi in massa come i lemmings. Oppure è stato il caldo unito alle cure di Pollice Marcio.

Dentro casa ci sono 60 gradi perchè i condizionatori sono saltati, ci deve essere un black out.

“Satish…ma quando una giornata inizia male cosa bisogna fare?”
“Chiudi gli occhi, concentrati e fai un bel respiro. Poi sorridi e vedrai che andrà meglio.”

Bene, lo faccio. Sai mai che tante volte questo spirito new age indiano porti qualcosa di buono.

Respiro. Penso a cose belle. Penso alla mortadella, in realtà. Sorrido e apro gli occhi.
Intorno a me la distruzione. Esattamente come prima.

Con due novità: si è staccato il tubo di scarico della lavatrice e la casa si è allagata. La gatta ha vomitato dentro una delle mie scarpe. Una di quelle scarpe costose e sento la voce di mia madre che da 8000 chilometri mi dice “Sono 30 anni che ti dico di mettere in ordine camera tua!”

“Satish! Io l’ho fatta sta faccenda di meditare, respirare e sorridere. È una fregatura!”
“A Madame, ma che vuoi da me? Io l’ho letta su internet sta roba…Fosse stato per me avrei chiamato un santone a far benedire la casa. Contro le giornate di merda non ci sono altre alternative.”

Ciò detto, se ne va.

Non vi fidate di internet. Nel dubbio, chiamate un santone.

Lady B.


Au revoir India!

Il mio viaggio in India è quasi finito.
Un’ apnea di quattro anni in cui mi sono successe più cose che in una vita intera.

Ho mollato un lavoro che mi piaceva, ho mollato tutti i miei affetti, sono partita con una valigia piena di cose inutili e mi sono insediata in pianta stabile a casa di uno che magari stava anche bene da solo ma sicuramente sarebbe stato meglio con me. Ho capito cosa significa adattarsi, ho capito l’importanza di non litigare dopo l’ora di cena perchè andare a dormire con una discussione sullo stomaco fa venire l’acidità. Ho scoperto che mi piace la mia vita da trentenne tranquilla e un po’ nerd. Non mi manca andare a ballare la sera anche perchè a Delhi non ci sono posti in cui andare a ballare e quindi ho anche la scusa per drogarmi di serie TV.
Ho imparato che dal veterinario non ci vanno solo cani e gatti ma anche scimmie, mucche e ogni tanto qualche asinello.
Ho imparato a osservare senza giudicare; ad ascoltare senza interrompere e ad amare forse non scenograficamente come nei film ma con una forza che non avrei mai sospettato potesse essere contenuta in un sentimento che non fosse una rosicata verso un vigile prossimo a mettermi una multa.
Ho imparato a leggere le etichette dei vestiti prima di metterli in lavatrice; ho stinto di rosa molte camicie bianche perchè i calzini rossi sono veramente stronzi. Non ho imparato a stirare ma ho imparato a fare le meringhe.
Mi sono sposata con l’uomo dei miei sogni che, nel frattempo, aveva capito che non avrei schiodato da casa quindi tanto valeva rassegnarsi. Ho raccattato gatti malconci per strada e li ho adottati; ho imparato a riparare lavatrici, tubi di scarico e mattonelle sbeccate. Per un certo periodo ho creduto che la pistola con la colla a caldo fosse una delle mie migliori amiche. Poi l’ho tradita per dedicarmi all’olio di cocco con il quale mi ungo manco fossi una porchetta.
Ho scoperto gli oli essenziali e la zuppa limone e coriandolo.
Nonostante farmi le seghe mentali sia uno dei miei sport preferiti, ho notato che da quando ho deciso di buttare sempre tutto in caciara vivo molto più serenamente.

Ho capito che un ruolo fondamentale in tutto questo l’ha avuto l’India. L’India che avevo conosciuto solo attraverso i libri, i documentari e le frasi di Osho. La stessa India che poi ho dovuto vivere sulla mia pelle. Che mi ha fatto piangere di rabbia, che mi ha stressato fino all’inverosimile con le sue contraddizioni. L’India che per farmi capire chi era il più forte mi ha costretto ad avere un confronto maturo con scarafaggi grossi come chihuahua che si ostinavano ad uscire dagli scarichi dei bagni.
Quell’India che ogni estate mi fa ammalare e mi fa accendere ceri a ogni divinità possibile perchè se mi becco la dengue veramente mi incazzo eh. Quell’India che mi ha fatto volare sull’Himalaya, che mi ha fatto navigare sul Gange; che mi ha fatto arrampicare sul tetto del mondo per scoprire un piccolo monastero dimenticato; che mi ha fatto nuotare con le tartarughe e con gli elefanti. Quell’India che mi ha fatto incontrare persone incredibili che vengono da mondi lontanissimi e che mi ha accarezzato l’anima regalandomi la sua essenza.

E allora, alla fine di questi quattro anni densi come un frullato di fragole, il mio augurio è che possiate incontrarla anche voi l’India. Così come l’ho incontrata io, per caso e per amore.
Perchè se la incontrate così, con l’occhio curioso del viaggiatore che osserva senza giudicare, vi regalerà emozioni che non sospettate nemmeno possano esistere.

Lady B.


Vademecum per il matrimonio

“E, insomma, ci sposiamo!”

Dopo che darete questo annuncio, niente sarà più come prima.

LA MAMMA

“Ma che davero te sposi? Ma nun è che me stai a prende in giro? Hai trovato qualcuno che te se pija pe tutta a vita? Ma hai scelto e bomboniere? E le partecipazioni? Ma a che tavolo la mettemo zia Pina? Quella sta sur cazzo a tutti… Vabbè, famo che nun la invitamo proprio…Ma ndo ve sposate?
“A Mà…me l’ha chiesto ieri, ancora nun c’avemo pensato a tutte ste cose. Ma poi chi è zia Pina?”

LA LOCATION

La location che fino a tre settimane fa se chiamava “er posto ndo organizzà er ricevimento”.
Naa location succede un fenomeno strano. Appena se pronuncia a parola “matrimonio”, i prezzi pe partito preso se duplicano.

Vuoi mette un divanetto in giardino pe fa sedè l’ospiti? 500 euro.
Vuoi mette na forchetta in più? 500 euro
Vuoi mette na candelina de sbieco? 500 euro.

Senti, famo che zia Pina nun se siede e quindi er divanetto nun ce serve e levamo pure e posate che st’anno er fingerfood va alla grande.

I FIORI

I fiori so un mistero. E margherite de campo, ar campo so gratis. Quanno devono finì sur tavolo tuo te costano più de tutto er ricevimento messo insieme

“Famo senza fiori?”
“No. Nun fa er pulciaro.”
“Allora addobbamo un tavolo sì e uno no?”

E se finisce a litigà perchè già zia Pina magna co e mano e nun se siede ma mo metterla pure ar Tavolo Sfregi, quello vicino ar cesso e senza manco i fiori, me pare troppo.

IL CATERING

Il catering è quella cosa che ve perseguiterà nei vostri incubi peggiori pure dopo 30 anni de matrimonio

“Pop corn di parmigiano reggiano su letto di insalata liquida con gamberetti marinati in un fondo bruno di fassona”

In che senso? Ma se magna sta roba?
Che poi tu volevi fa na cacio e pepe e invece pare brutto quindi te devi magnà i pop corn de parmigiano.

Ma magnateli te i pop corn. Te e zia Pina.

IL VESTITO

Ce se può scrive un’enciclopedia sur vestito

“Allora che modello ti piace? Quello a sirena, quello a principessa, quello in macramè, quello in tulle o quello a coda alla vaccinara?”

Senti, a me serve na cosa che nasconda il culo, na cosa che nasconda i maniglioni antipanico che c’ho sui fianchi e che possibilmente nun me faccia confinà co l’Austria. Me serve na reincarnazione più che un vestito.

“A senti, ora mi raccomando non ti ingrassare che abbiamo stretto l’abito eh…”

Se, ciao…

IL CELESTE TIFFANY

Er che?

“Se non fai un matrimonio a tema “celeste Tiffany non sei affatto chic”

Senti, ma io ho fatto mette ner menù e cirioline caa porchetta…ma posso esse chic?

E comunque esce fori che sto celeste Tiffany è er colore delle mattonelle der cesso de Zia Pina quando l’anni ’80 erano l’anni ruggenti.

LA LISTA DI NOZZE

NO. A lista de nozze no. Passi er divanetto, passi er pop corn e passi pure er celeste tiffany. Ma a lista de nozze no.
E comunque er delicatissimo candelabro d’argento in stile Overlook Hotel t’ariverà uguale. Senza Jack Nicholson.

(In realtà sposarsi è bellissimo. È bellissimo andare in giro con la mamma alla ricerca dell’abito che ti faccia sentire perfetta, è bellissimo scegliere i dettagli con la tua metà migliore, è bellissimo discutere e ritrovarsi la sera abbracciati sul divano a fantasticare del viaggio di nozze.
Ed è bellissimo quando quel giorno vi guarderete negli occhi e leggerete nello sguardo dell’altro la profondità di un amore che si rafforza ogni giorno e che vi ha fatto diventare una squadra.)

Lady B.


Domande inutili

“Ma cosa pensi che sia l’amore?”
“Ma che domande mi fai? Pensavo l’avessimo superata la fase adolescenziale in cui i ragazzini si chiedono cose a cui è impossibile trovare una risposta.”

L’aria era tiepida e dal prato iniziavano a far capolino le prime margherite. Le stesse che di lì a poco sarebbero scomparse senza una ragione precisa. Questa faccenda delle margherite di campo le aveva sempre lasciato una sensazione di angoscia. La loro improvvisa apparizione ma soprattutto la loro scomparsa che avveniva senza che lasciassero un segno della loro presenza, le creava un certo disappunto. Era sempre stata dell’idea che è bene lasciare traccia di sè e per questo per un periodo aveva iniziato a collezionare sassolini. Li aveva segnati con una X rossa e messi poi in un barattolo di vetro smerigliato. Ogni tanto li osservava. In caso di bisogno, li avrebbe sparsi in giro.
Poi si sa come funziona. Il tempo guarisce le ferite, risana i rapporti ma fa perdere anche molte cose. Accendini, persone, sentimenti e collezioni di sassolini.

“Non c’è bisogno che te la prendi…”
“Non me la prendo, non mi piacciono le domande inutili.”

E mentre stavano lì, in silenzio, ognuno perso nelle proprie cose, lui le offrì l’estremità del cono gelato che stava mangiando.

Forse l’amore non è fatto di parole. È fatto di gesti rituali che si perdono nell’infinità dei gesti banali del quotidiano. Come la puntina di un gelato regalata che dentro nasconde un’anima di cioccolato.

Lady B.


La varianza statistica e i voli aerei

Al liceo, in matematica, ero una incapace totale. Se potevo tollerare il 2 + 2, già il 2+2 -1 mi creava qualche perplessità. Se poi dovevo aggiungere parentesi o divisioni, a quel punto il caos era totale. Avevo sviluppato anche una certa abilità nell’ammalarmi poco prima dei compiti in classe.
Non avevo nemmeno bisogno di fingere, era proprio che la sera prima mi veniva la febbre a 40 e, per quanto fossi agonizzante, mia madre era costretta a mandarmi a scuola a calci in culo perchè una verifica ogni quattro andava pur fatta. E ogni volta era un’ecatombe. La mia professoressa era piuttosto elastica con me anche se in cinque anni di liceo la sufficienza credo di averla raggiunta solo tre volte. Anzi, due perchè una volta ho copiato schifosamente dalla mia compagna di banco e quindi non me la sento proprio di conteggiarla come una sufficienza presa onestamente.
All’università non è andata meglio. Avevo scelto una facoltà che mi tenesse lontana da ogni forma di calcolo ma, purtroppo, c’era uno scoglio insormontabile. Un esame di statistica al quale puntualmente prendevo dei voti negativi. Sì, si possono prendere voti negativi. Basta togliere un punto o due per ogni risposta data a cazzo di cane e io, in quelle risposte lì, ero bravissima. In qualche modo questo esame l’ho superato anche se, ancora oggi, sono convinta di aver mosso a compassione il professore perchè altrimenti non si spiega come sia possibile che io abbia risolto degli integrali con cognizione di causa. E comunque anche il giorno prima dell’esame di statistica avevo la febbre.

Ciò che mi rende una donna adulta e serena è il fatto che non dovrò mai più affrontare calcoli, operazioni o ragionamenti matematici.

C’è tuttavia un’altra cosa che mi fa rodere di angoscia. Ed è la prospettiva di dover prendere un aereo. Che poi, a veder bene, io ho il culo sull’aereo più o meno una volta al mese. E quindi, una volta al mese, mi ammalo. Febbri, vertigini e nausea. Oltre a incubi spaventosi in cui dalle cabine in cui le hostess preparano i caffè escono fuori degli enormi grizzli pelosi che mi sbranano nell’indifferenza totale dei passeggeri.

“Devi affrontarla questa paura che hai. Non è mica normale. Parlane apertamente.”

E io ne ho parlato, l’ho detto a tutti. Pure al fruttivendolo che mi ha fatto notare che “Signorì non me ne frega niente, a me me basta a coda sur raccordo a mattina. E ora se per favore se leva da mezzo me fa una cortesia che me sta a fa creà la fila”.
Ah ok, scusi.

Tutto questo per dire che ci sarà sempre qualcosa nella vita che ti farà crepare di paura. Può essere una varianza statistica, le infradito con sotto i calzini bianchi di spugna o un volo aereo di settordici ore per un Paese lontanissimo. Però non è necessariamente una cosa brutta, la paura. Basta saperla capire e affrontare con lo stesso spirito con cui si affronta la gioia. Con positività.
Questo in teoria.
In pratica, scusate, ma vado a farmi un whisky che tra un’ora devo andare in aeroporto.

Lady B.


Tra moglie e marito…

“Madame, volevo dirti che oggi sono venuta al lavoro da sola…”
“Perchè Arti? Chander sta male?”
“No. Mentre eravamo per strada, sul motorino, mi ha detto che sono troppo cicciona per andare in moto perchè quando mi muovo lo sbilancio e rischiamo di cadere.”
“E allora?”
“Allora sono scesa, l’ho picchiato con una scarpa e sono venuta in tuktuk.”
“Ma scusa ora Chander dov’è?”
“E cosa vuoi che ne sappia? Spero sia caduto in un tombino”

L’armonia che regna dentro casa mia, una casa in cui ognuno fa come gli pare senza prestare minimamente attenzione a ciò che dico io, mi rende orgogliosa.
Ed è in questo clima di guerra fredda, mentre Arti passava l’aspirapolvere con la stessa grazia con cui l’estetista strappa la ceretta da una gamba villosa, che sento insistentemente suonare un cellulare.

“Arti, mi sa che ti suona il telefono.”
“Lo so.”
“E non rispondi?”
“No. Sarà quel mentecatto di Chander…”
“Ma rispondigli magari è successo qualcosa!”
“No.”

E passa un altro quarto d’ora. Poi, presa da uno scrupolo di coscienza e forse consapevole del fatto che la suoneria del suo cellulare mi stava provocando una crisi mistica (Arti ha come suoneria una specie di mantra a Ganesh), risponde.

Bonfonchia qualcosa in hindi in tono molto alterato e attacca.

“Madame. Ho il marito più stupido del mondo.”

Oh, beh.

“Sai dove sta?”
“Dove?”
“Qui sotto. Da 45 minuti. Sta sulla moto, ancora con il casco in testa da 45 minuti e mi sta aspettando sotto al sole.”

È mezzogiorno e ci sono circa 40 gradi. Non so cosa dire.

“Ma perchè non è salito a casa?”
“Perchè è il marito più stupido del mondo e io avrei dovuto colpirlo più forte con quella ciabatta. Perchè io sarò una cicciona ma lui ha lasciato il cervello nella discarica di Ghazipur.”

E mentre Arti continua a elencarmi posti in cui potrebbe trovarsi il cervello di Chander, quest’ultimo compare sulla soglia di casa.

Sembra appena uscito da un forno tandoori. È rosso, troppo rosso, e ha i capelli tutti appiccicati in fronte. In mano stringe il casco ma so che vorrebbe tirarlo in testa alla moglie.

“Perchè non sei salito su a casa?”
“Ti stavo aspettando nel vialetto.”
“E perchè non hai chiesto se fossi arrivata? Non ti sei preoccupato per me? Ero da sola in tuk tuk…magari il guidatore di tuk tuk mi avrebbe potuto rapire.”
“Non sarebbe successo perchè te lo saresti mangiato.”

Urla miste.
Mi defilo con discrezione perchè tra moglie e marito non mettere il dito anche se moglie e marito hanno deciso di prendersi a padellate nella mia cucina.

Lady (discreta) B.


Quel non so che di Bounty

“Madame, con tutto il rispetto, con questi capelli ricordi una scopa.”
“Grazie per il prezioso contributo alla mia autostima, Satish.”
“Lo dico per te, Madame, devi fare qualcosa.”

Sono questi i momenti in cui vorrei armarmi di una paletta e tirargliela di piatto in faccia. Satish, tra le varie attività svolte in passato, annovera anche quella di parrucchiere e quindi si sente titolato a elargire consigli o a dare delle opinioni di stile. Non richieste.

“Satish, vorrei farti notare che ho percosso persone anche per molto meno. Quindi o cerchi di essere costruttivo oppure è meglio se taci.”
“Va bene, Madame, allora fatti degli impacchi di olio di cocco in testa.”

Rimango un po’ sorpresa per varie ragioni. Anzitutto non avrei mai creduto che Satish potesse avere un’opinione così definita sui capelli. In secondo luogo, non pensavo che un uomo, al di fuori di poche rare e preziose eccezioni, conoscesse gli usi dell’olio di cocco. Anche perchè fino a quel momento non li conoscevo nemmeno io.

Con un’enorme pulce nell’orecchio, torno a casa e inizio a cercare pareri in merito alla faccenda attraverso la mia fonte di conoscenza principale. Internet.

Dopo tre ore di ricerche ossessive, scopro che effettivamente l’olio di cocco, specie se unito all’olio di neem, possiede molte qualità. Praticamente ti rende immortale.
E visto che sono una persona morigerata, il giorno dopo vado a svaligiare un negozio comprando circa 15 confezioni di olio di cocco. Spremuto a freddo. Cosa voglia dire non si sa, comunque pare che se è spremuto a freddo è meglio.

Mezz’ora più tardi sono interamente coperta da uno strato di olio che mi rende molto simile a un’anguilla laccata. E chiaramente questa non è stata affatto una buona idea perchè sono talmente unta da non potermi appoggiare a nulla e comunque ho messo l’olio anche sulle piante dei piedi quindi rischio di scivolare e di spaccarmi la faccia contro il pavimento di marmo.

Rimango così, in piedi, a pensare all’eternità e a quanto possa essere infinita l’idiozia umana. E ci rimango per circa 45 minuti, giusto il tempo di farmi venire le vene varicose, perchè prima di farmi la doccia devo dare all’olio il tempo di agire e di compiere il miracolo.
Passo i successivi 50 minuti sotto la doccia strofinandomi con una specie di guanto che credo sia fatto di setole di rinoceronte perchè, giuro, non ho mai provato niente di più ispido. Anche questa pratica, ovviamente, mi è stata suggerita da internet. Brushing si chiama. Che in pratica significa decorticamento epiteliale con conseguente esposizione delle carni vive sotto un getto di acqua bollente. Oh, fatelo, mi raccomando.
Mi faccio anche lo shampoo perchè nelle mie folte chiome c’è talmente tanto olio che potrei friggere tutto lo Sri Lanka.

Esco dalla doccia veramente provata. Provata e di uno strano colorito violaceo.
Però non posso non notare che i miei capelli hanno un aspetto meraviglioso. Devo assolutamente ringraziare Satish.

“Madame. Posso farti una domanda indiscreta?”
“Si Satish…”
“Hai usato l’olio di cocco?”
“Si! Anzi volevo ringr…”
“Ma quanto ne hai usato?”
“Beh parecchio e l’ho anche mischiato all’olio di Neem, come suggeriva di fare internet..”
“Si sente, Madame. Puzzi di Bounty andato a male.”
“…”
“Madame, se posso permettermi. Non leggerlo più internet. Fallo per me e per Sir che stasera deve andare a dormire sentendo olezzo di merendine scadute.”

Quindi l’olio di cocco fa miracoli. Ma se lo unite all’olio di Neem preparatevi a dormire su un giaciglio in salone.

Lady B (ounty)