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Au revoir India!

Il mio viaggio in India è quasi finito.
Un’ apnea di quattro anni in cui mi sono successe più cose che in una vita intera.

Ho mollato un lavoro che mi piaceva, ho mollato tutti i miei affetti, sono partita con una valigia piena di cose inutili e mi sono insediata in pianta stabile a casa di uno che magari stava anche bene da solo ma sicuramente sarebbe stato meglio con me. Ho capito cosa significa adattarsi, ho capito l’importanza di non litigare dopo l’ora di cena perchè andare a dormire con una discussione sullo stomaco fa venire l’acidità. Ho scoperto che mi piace la mia vita da trentenne tranquilla e un po’ nerd. Non mi manca andare a ballare la sera anche perchè a Delhi non ci sono posti in cui andare a ballare e quindi ho anche la scusa per drogarmi di serie TV.
Ho imparato che dal veterinario non ci vanno solo cani e gatti ma anche scimmie, mucche e ogni tanto qualche asinello.
Ho imparato a osservare senza giudicare; ad ascoltare senza interrompere e ad amare forse non scenograficamente come nei film ma con una forza che non avrei mai sospettato potesse essere contenuta in un sentimento che non fosse una rosicata verso un vigile prossimo a mettermi una multa.
Ho imparato a leggere le etichette dei vestiti prima di metterli in lavatrice; ho stinto di rosa molte camicie bianche perchè i calzini rossi sono veramente stronzi. Non ho imparato a stirare ma ho imparato a fare le meringhe.
Mi sono sposata con l’uomo dei miei sogni che, nel frattempo, aveva capito che non avrei schiodato da casa quindi tanto valeva rassegnarsi. Ho raccattato gatti malconci per strada e li ho adottati; ho imparato a riparare lavatrici, tubi di scarico e mattonelle sbeccate. Per un certo periodo ho creduto che la pistola con la colla a caldo fosse una delle mie migliori amiche. Poi l’ho tradita per dedicarmi all’olio di cocco con il quale mi ungo manco fossi una porchetta.
Ho scoperto gli oli essenziali e la zuppa limone e coriandolo.
Nonostante farmi le seghe mentali sia uno dei miei sport preferiti, ho notato che da quando ho deciso di buttare sempre tutto in caciara vivo molto più serenamente.

Ho capito che un ruolo fondamentale in tutto questo l’ha avuto l’India. L’India che avevo conosciuto solo attraverso i libri, i documentari e le frasi di Osho. La stessa India che poi ho dovuto vivere sulla mia pelle. Che mi ha fatto piangere di rabbia, che mi ha stressato fino all’inverosimile con le sue contraddizioni. L’India che per farmi capire chi era il più forte mi ha costretto ad avere un confronto maturo con scarafaggi grossi come chihuahua che si ostinavano ad uscire dagli scarichi dei bagni.
Quell’India che ogni estate mi fa ammalare e mi fa accendere ceri a ogni divinità possibile perchè se mi becco la dengue veramente mi incazzo eh. Quell’India che mi ha fatto volare sull’Himalaya, che mi ha fatto navigare sul Gange; che mi ha fatto arrampicare sul tetto del mondo per scoprire un piccolo monastero dimenticato; che mi ha fatto nuotare con le tartarughe e con gli elefanti. Quell’India che mi ha fatto incontrare persone incredibili che vengono da mondi lontanissimi e che mi ha accarezzato l’anima regalandomi la sua essenza.

E allora, alla fine di questi quattro anni densi come un frullato di fragole, il mio augurio è che possiate incontrarla anche voi l’India. Così come l’ho incontrata io, per caso e per amore.
Perchè se la incontrate così, con l’occhio curioso del viaggiatore che osserva senza giudicare, vi regalerà emozioni che non sospettate nemmeno possano esistere.

Lady B.


Vademecum per il matrimonio

“E, insomma, ci sposiamo!”

Dopo che darete questo annuncio, niente sarà più come prima.

LA MAMMA

“Ma che davero te sposi? Ma nun è che me stai a prende in giro? Hai trovato qualcuno che te se pija pe tutta a vita? Ma hai scelto e bomboniere? E le partecipazioni? Ma a che tavolo la mettemo zia Pina? Quella sta sur cazzo a tutti… Vabbè, famo che nun la invitamo proprio…Ma ndo ve sposate?
“A Mà…me l’ha chiesto ieri, ancora nun c’avemo pensato a tutte ste cose. Ma poi chi è zia Pina?”

LA LOCATION

La location che fino a tre settimane fa se chiamava “er posto ndo organizzà er ricevimento”.
Naa location succede un fenomeno strano. Appena se pronuncia a parola “matrimonio”, i prezzi pe partito preso se duplicano.

Vuoi mette un divanetto in giardino pe fa sedè l’ospiti? 500 euro.
Vuoi mette na forchetta in più? 500 euro
Vuoi mette na candelina de sbieco? 500 euro.

Senti, famo che zia Pina nun se siede e quindi er divanetto nun ce serve e levamo pure e posate che st’anno er fingerfood va alla grande.

I FIORI

I fiori so un mistero. E margherite de campo, ar campo so gratis. Quanno devono finì sur tavolo tuo te costano più de tutto er ricevimento messo insieme

“Famo senza fiori?”
“No. Nun fa er pulciaro.”
“Allora addobbamo un tavolo sì e uno no?”

E se finisce a litigà perchè già zia Pina magna co e mano e nun se siede ma mo metterla pure ar Tavolo Sfregi, quello vicino ar cesso e senza manco i fiori, me pare troppo.

IL CATERING

Il catering è quella cosa che ve perseguiterà nei vostri incubi peggiori pure dopo 30 anni de matrimonio

“Pop corn di parmigiano reggiano su letto di insalata liquida con gamberetti marinati in un fondo bruno di fassona”

In che senso? Ma se magna sta roba?
Che poi tu volevi fa na cacio e pepe e invece pare brutto quindi te devi magnà i pop corn de parmigiano.

Ma magnateli te i pop corn. Te e zia Pina.

IL VESTITO

Ce se può scrive un’enciclopedia sur vestito

“Allora che modello ti piace? Quello a sirena, quello a principessa, quello in macramè, quello in tulle o quello a coda alla vaccinara?”

Senti, a me serve na cosa che nasconda il culo, na cosa che nasconda i maniglioni antipanico che c’ho sui fianchi e che possibilmente nun me faccia confinà co l’Austria. Me serve na reincarnazione più che un vestito.

“A senti, ora mi raccomando non ti ingrassare che abbiamo stretto l’abito eh…”

Se, ciao…

IL CELESTE TIFFANY

Er che?

“Se non fai un matrimonio a tema “celeste Tiffany non sei affatto chic”

Senti, ma io ho fatto mette ner menù e cirioline caa porchetta…ma posso esse chic?

E comunque esce fori che sto celeste Tiffany è er colore delle mattonelle der cesso de Zia Pina quando l’anni ’80 erano l’anni ruggenti.

LA LISTA DI NOZZE

NO. A lista de nozze no. Passi er divanetto, passi er pop corn e passi pure er celeste tiffany. Ma a lista de nozze no.
E comunque er delicatissimo candelabro d’argento in stile Overlook Hotel t’ariverà uguale. Senza Jack Nicholson.

(In realtà sposarsi è bellissimo. È bellissimo andare in giro con la mamma alla ricerca dell’abito che ti faccia sentire perfetta, è bellissimo scegliere i dettagli con la tua metà migliore, è bellissimo discutere e ritrovarsi la sera abbracciati sul divano a fantasticare del viaggio di nozze.
Ed è bellissimo quando quel giorno vi guarderete negli occhi e leggerete nello sguardo dell’altro la profondità di un amore che si rafforza ogni giorno e che vi ha fatto diventare una squadra.)

Lady B.


Domande inutili

“Ma cosa pensi che sia l’amore?”
“Ma che domande mi fai? Pensavo l’avessimo superata la fase adolescenziale in cui i ragazzini si chiedono cose a cui è impossibile trovare una risposta.”

L’aria era tiepida e dal prato iniziavano a far capolino le prime margherite. Le stesse che di lì a poco sarebbero scomparse senza una ragione precisa. Questa faccenda delle margherite di campo le aveva sempre lasciato una sensazione di angoscia. La loro improvvisa apparizione ma soprattutto la loro scomparsa che avveniva senza che lasciassero un segno della loro presenza, le creava un certo disappunto. Era sempre stata dell’idea che è bene lasciare traccia di sè e per questo per un periodo aveva iniziato a collezionare sassolini. Li aveva segnati con una X rossa e messi poi in un barattolo di vetro smerigliato. Ogni tanto li osservava. In caso di bisogno, li avrebbe sparsi in giro.
Poi si sa come funziona. Il tempo guarisce le ferite, risana i rapporti ma fa perdere anche molte cose. Accendini, persone, sentimenti e collezioni di sassolini.

“Non c’è bisogno che te la prendi…”
“Non me la prendo, non mi piacciono le domande inutili.”

E mentre stavano lì, in silenzio, ognuno perso nelle proprie cose, lui le offrì l’estremità del cono gelato che stava mangiando.

Forse l’amore non è fatto di parole. È fatto di gesti rituali che si perdono nell’infinità dei gesti banali del quotidiano. Come la puntina di un gelato regalata che dentro nasconde un’anima di cioccolato.

Lady B.


Dai diamanti non nasce niente

“Senti, lo so che se ora te lo dico tu mi metti subito sul tuo blog e finisce che parliamo sempre dello stesso argomento però c’è uno strano odore qui.”

Questo l’esordio della mia metà migliore durante un bollente sabato di settembre indiano. Quando, per l’esattezza, eravamo intenti a deprimerci per via della fine delle ferie.

“Ma va. Sei sempre il solito esagerato. C’hai proprio le narici deboli”
Affermo con un piglio autoritario e, con lo stesso piglio, mi reco in terrazzo dove, peraltro, lo snasatore della mia vita aveva segnalato lo strano odore.

“Ecco vedi? Non si sente proprio nulla!” affermo ma già sono meno convinta perchè un refolo di vento mi porta sotto alle narici un aroma non proprio sconosciuto.

“Forse hai il naso chiuso perchè io sento uno strano odore…” ribatte la mia metà migliore.
“No, hai ragione. Hai presente quando a fine estate, in autostrada, a un certo punto si sente una forte puzza di cacca?”
“Eh. Tipo quando concimano i campi intorno a Roma. Che poi si sente un tanfo per tutto il raccordo e alla fine tu sei bloccato in macchina e vuoi solo morire”
“Eh.”

Rimaniamo in silenzio per un po’.
Perchè nel nostro terrazzo, a 8000 chilometri dal GRA, sentiamo puzza di Agro Pontino concimato?

Ci guardiamo e decidiamo di affacciarci dal terrazzo. Non sappiamo cosa aspettarci ma la vicina, quella del piano di sotto che noi per partito preso avevamo deciso di odiare, sta producendo degli strani rumori. Ai quali poi si accodano degli strani odori.

E da quel momento capiamo che il nostro istinto non sbaglia mai.

Ella, presa da un furore agricolo che mal si concilia con le esigenze cittadine, sta spargendo in un’aiuoletta insignificante una quantità di letame che potrebbe concimare l’intera Pianura Padana.
E, badate bene, non si tratta di normale letame. Si tratta di profumati ricordi di vacca che, per ragioni di sacralità credo, vengono poi ricoperti di fiori di tageti arancioni.

Qundi: 40 gradi, caldo soffocante, merda di vacca che ha iniziato a fare il suo lavoro di fermentazione proprio sotto la nostra camera da letto e boccioli di fiori che, approfittando del caldo, stanno diventando marcescenti.

Vorrei trovare una morale in tutto questo, vorrei anche che un certo spirito zen che avrei dovuto maturare in 3 anni di assidua frequentazione asiatica si facesse sentire quanto prima riportandomi ad una dimensione civile.

Purtroppo ho in mente un solo vocabolo che, con la convivenza pacifica tra condomini, c’entra poco. Rappresaglia.

Lady B.


Il veterinario

Vi avverto. Questa è una storia per stomaci forti. E anche il linguaggio si adeguerà di conseguenza, per amore del realismo.

Sono dovuta andare dal veterinario e, fin qui, non ci sono grandi novità. Vorrei solo dire, tuttavia, che il mio veterinario non si trova a Delhi e nemmeno nei dintorni di Delhi. Per praticità, e per questioni che non starò qui a spiegare, il mio veterinario si trova in un altro Stato. Come se vivessi in Italia e decidessi di andare a portare a vaccinare i gatti a Lugano. Con me c’era la piccola Goa, la new entry di casa, meglio conosciuta come Satanella per via di alcune inclinazioni caratteriali demoniache.

Dopo circa due ore e mezzo di macchina, con Satanella che ogni quattro minuti emetteva un vocalizzo diverso nel tentativo di provocarmi una sordità permanente, arriviamo dal veterinario. Visita di controllo, prelievo di sangue, strisciata di carta di credito e arrivederci.
Ci rimettiamo in macchina, in direzione Delhi. Durante l’ora di punta.

“Madame” esordisce Satish, l’autista, ormai completamente rincoglionito dalle proteste della dolce gattina del demonio “Sta per venire giù un sacco di pioggia”
“Bene! Così farà meno caldo!”
“Madame…sei matta? Con il monsone e l’ora di punta non arriveremo mai a casa”
Ogni tanto mi stupisco di quanto io possa essere disastrosamente naïve.
Ci mettiamo l’animo in pace e ci rassegniamo al traffico.
Tutti tranne Goa che, evidentemente amareggiata per la condizione che la vedeva chiusa nel trasportino, continuava a ululare manco fosse un lupo mannaro.

Dopo ore, arriviamo nel vialetto di casa e qui, ahimè, dovete perdonare la deriva trash di questo racconto.

A esattamente 20 metri dal portone, Goa tace.
Mi affaccio in direzione del trasportino, tante volte fosse morta. E’ seduta e mi guarda con una truce aria di sfida.
Mi guarda, la guardo. Nel silenzio. Non si sente nemmeno la radio e anche Satish non dice una parola.
Ci avviciniamo sempre di più al vialetto.
Mi fissa. Faccio per chiamarla “Goa? Gattina?” e lei fa uno scureggione atomico, una roba che nemmeno nei più squallidi cinepanettoni, al quale poi chiaramente segue la produzione della cacca più maleodorante del creato.
Satish sobbalza e si gira.
“Madame! Ho capito che hai mal di pancia ma siamo quasi arrivati!”
“Satish! Ma ti pare che mi metto a scureggiare in macchina??”
“E allora chi è stato?”
“E’ stato il gatto!”
“Certo, il gatto…”
“Satish…il gatto ha fatto la cacca”
“Oh.” silenzio
E poi ancora “Oh.”
“Dentro la macchina?”
“Si…”
“Oh. Sir sarà molto contento”
“Molto.”

Esco dalla macchina prendendo il trasportino con dentro un gatto che ormai si rotolava in ciò che aveva prodotto e, snocciolando un rosario di parolacce, salgo per le scale.

Mi apre la porta la mia metà migliore. Ha una camicia bianca di lino, si vede lontano un miglio che profuma di pulito. E’ bellissimo. Io, per contro, sto sudando come un bufalo, ho tutti i capelli appiccicati in testa e reco in dono una specie di arma chimica vivente.
Si avvicina sorridendo, per darmi un bacio.
“Ciao am….ehi, un momento…ma puzzi di mer…”

E così calò il sipario su una giornata che, lungi dall’essere memorabile, aveva l’odore del trasportino di Goa.

Lady B.
PS: Stamattina alle 9 Satish mi ha chiamato. Sghignazzava. Voleva sapere come stesse il gatto.


La stagione premonsonica

“Io comunque non ce la faccio più. Da domani andiamo a dormire in albergo. Dobbiamo sterminarle” mi sibila in un orecchio alle 6 del mattino la mia metà migliore. E detto questo si chiude in bagno.

E, no, per quanto ci stiamo drogando di programmi sui serial killer più pericolosi della storia (grazie Netflix), non stiamo pianificando una strage.

Sono circa tre settimane che a casa nostra non si dorme.

Il problema è che siamo entrati nella stagione pre monsonica.
La stagione pre monsonica è un periodo assolutamente infelice durante il quale il subcontinente indiano arriva a delle temperature che fanno sciogliere l’asfalto per strada e i neuroni nel cervello. Durante la stagione pre monsonica non esiste escursione termica: se ci sono 46 gradi di giorno, di notte ce ne saranno 40. Se ogni tanto dovesse arrivare un refolo di vento, non preoccupatevi. E’ un vento bollente, che al massimo ti fa pensare ad un enorme phon acceso dentro una sauna che va a tutta manetta.
Durante la stagione pre monsonica, siamo tutti un po’ più nervosi e se dovesse saltare la corrente e si dovesse rimanere senza aria condizionata, l’unica soluzione è piangere. Anche se poi le lacrime evaporano creando condensa e, quindi, umidità.
Durante la stagione pre monsonica, arrivano le zanzare.
Non un paio di zanzare. Arriva una cavalcata delle valchirie di zanzare.

Questo mucchio selvaggio di bestie inutili rimane nascosto durante tutto il giorno e si attiva la notte.
Al mattino, il letto è un campo di battaglia. Zanzare spiaccicate sulle lenzuola, sulle fronti degli abitanti della casa, sui muri che da bianchi diventano a pois rosso acceso. Le notti sono un inferno.

E se state per obiettare una cosa tipo “mettetevi l’autan” vi informo che loro se ne fanno la birra dell’autan.

Quindi lo sterminatore della mia vita, prima di chiudersi in bagno, si è limitato a esprimere un certo disappunto churchilliano in direzione delle zanzare.
Io rimango a letto ancora un po’, nel tentativo di smetterla di imprecare poichè un esponente della razza mi è entrata nel naso e mi ha punto. Così, se già prima avevo un profilo greco, ora ho un profilo imperiale.

Quando esce dal bagno, la mia metà migliore è stranamente sereno. Sorride. Sospetto che si sia sniffato uno zampirone ma rimango in silenzio.

“Sai” mi dice ad un certo punto “Noi non dovremmo lamentarci perchè in fondo c’è chi sta peggio”

Oddio. Una deriva new age.

Poi mi allunga il cellulare e mi fa leggere un messaggio di un suo amico dislocato da qualche parte in Africa.

“Stanotte mi è entrato uno sciacallo a casa che ha inseguito e sbranato due marmotte”. Segue immagine che sembra un fotogramma di un film di Stephen King.

Ci beviamo il caffè.
“Vabbè comunque qui non si sta così male…”
“No, infatti.”
Lo accompagno alla porta, lo bacio e poi corro in cucina ad uccidere un enorme bacarozzo che sta uscendo dallo scarico del lavandino.
No, qui non si sta così male ma la stagione pre monsonica fa schifo lo stesso.

Lady B.


La mamma

La mamma è quella che “mamma ma dove sta il mio zaino?” “Guarda che se vengo lì e lo trovo te le suono!”

La mamma è quella che “mangia ancora un po’!” “No grazie sono piena!” “Ho detto mangia! Che sennò si butta ed è peccato!”

La mamma è quella che, in una giornata di inverno, “mamma dove sono le mie pantofole?” “Te le ho messe sul termosifone così sono belle calde!”

La mamma è quella che “Ti sei messa la canottiera?” “Ma ci sono 35 gradi!” “Non importa, portati pure una sciarpetta che poi a 30 anni ti viene la cervicale!”

La mamma è quella che “Mamma sono disperata…mi ha lasciato!” “Oh, meno male va. Era proprio un deficiente, andiamo a festeggiare!”

La mamma è quella che “Oh, mamma, oggi sembri Maga Magò!” “Oh. Dici? Ma cos’è quella roba sul tuo sedere? Non sarà mica cellulite…”

La mamma è quella che “Mamma vado a vivere in India” “…” “Hai capito?” “Si. Forse mi si è rotto un pezzetto di cuore ma per la felicità. E portati una sciarpetta”

La mamma è quella che “Oddio mamma…il gatto sta male e qui non trovo le medicine giuste” e nemmeno hai finito la frase che lei, alle 9 del mattino, sta nella sede del DHL a spedire un pacco pieno di medicinali per gatti. Poi magari nel pacco ci mette pure una sciarpetta. Ma solo per sicurezza.

La mamma è l’àncora, la certezza, l’abbraccio. E’ quella che si rispecchia nella tua vita senza permettersi di giudicarla. Quella che sostiene tutto, come la chiglia di una nave.

E quanto siamo fortunati ad averla è una scoperta che dovremmo fare appena il nostro sguardo incrocia il suo.

Lady B.


Diari Birmani. Il ritiro bagagli.

Per spostarsi in Birmania c’è un unico modo. L’aereo. O meglio un micro aereo con delle micro eliche talmente piccolo che, per raggiungere il posto assegnato, si prende più volte a testate tutte le cappelliere. Io sono sicura che moriremo, non fosse altro perchè la nostra compagnia si chiama Air Cambogia e ha un logo tremendo. Si, per quello che mi riguarda se il logo della compagnia aerea non ispira fiducia è indice di future catastrofi.
Il capitano della mia vita mi guarda e non dice nulla ma tanto io so che quello sguardo significa “non rompere, eh”. Quindi mi rassegno. In fondo è solo un’ora di volo.
Se non fossi concentrata sull’idea di morte imminente, potrei persino apprezzare il paesaggio. La Birmania è bella pure dall’alto. Si sorvolano laghi, si sorvolano fiumi e si vedono un sacco di pagode abbarbicate sulle montagne. Purtroppo, secondo i miei calcoli, essendo in volo, non dovremmo vedere alcuna pagoda e soprattutto non dovrei vedere alcun omino che uscendo dalla pagoda fa ciaociao con la mano.

“Siamo troppo bassi. Ci stiamo schiantando contro una montagna.”
“E che palle che sei”

Così chiudiamo una discussione e io sono molto triste al pensiero che le ultime parole che mi siano state rivolte siano un “eccheppalle”.

Mi rincuoro solo quando passa uno steward che offre delle orribili caramelle alla fragola. Se ti offrono delle caramelle forse non stai precipitando, quindi le accetto con gratitudine.IMG_7987

In un modo o nell’altro arriviamo sani e salvi, dobbiamo solo recuperare le valigie.

“Madame, non buttare la carta di imbarco fino a quando non ti sarà consegnato il bagaglio”

L’aeroporto di Bagan, la città in cui staremo un paio di giorni, è minuscolo. Ci caricano su un pulmino scalcagnato e senza vetri ai finestrini e facciamo 4 metri. Poi ci mollano davanti a un piccolo ingresso che si apre su una specie di anticamera dell’aeroporto vero e proprio.

“Che dobbiamo fare qui?” chiedo a un addetto dell’aeroporto.
“Ora vi portano i bagagli” mi sento rispondere.

Non faccio in tempo a interrogarmi sul senso di questa frase che vedo comparire all’orizzonte 4 omini secchi secchi che spingono dei carretti su cui, generalmente, vedo trasportare la frutta al mercato. Stavolta però ci sono i nostri bagagli.

La prima reazione è quella di stupore. Poi però voglio dare l’impressione di essere una che ne ha viste molte, quindi faccio l’indifferente e fischietto. E’ una farsa che dura poco perchè, tempo un nanosecondo, travolgo lo steward del mio cuore con uno tsunami di parole.
“Oh! Ma hai visto?! Ce li consegnano a mano!” e simili.

In realtà quello che ci chiediamo è come faranno a individuare il proprietario di ciascuna valigia. Ma tanto la risposta arriva subito perchè inizia una specie di Bingo del Bagaglio.
I quattro omini si mettono in fila e, tenendo i passeggeri a debita distanza, iniziano a urlare dei numeri.

Cazzo! Stanno chiamando i codici sulla carta di imbarco. E dov’è la nostra?
Merda. Merda. L’ho buttata! O forse ce l’ho in borsa insieme a altri dodicimila pezzi di carta che si sono accumulati nel corso degli anni.
Sudo. Oddio quanto sudo. Ci sono 30 gradi e io sono coperta come un pastore kashmiro perchè in aereo faceva un freddo becco.

“L’hai trovata?”

No che non l’ho trovata, altrimenti non starei ravanando nella borsa come una cornacchia nella monnezza. Voglio spararmi. L’omino sta chiamando il codice della nostra valigia e la carta di imbarco non c’è. E se rimarremo in mutande per i prossimi sarà solo colpa mia. Sudorazione fuori controllo, il maglione che mi cade, la sciarpa è diventata un ricettacolo di polvere e ormai la mia testa si è incastrata nella borsa.

“Andiamo?”

Dove? dove andiamo senza bagagli?
Poi alzo la testa e vedo che il mio sorridente compagno, fresco come una rosa, ha le nostre valigie.

“Come hai fatto?”
“Gliele ho chieste e me le hanno consegnate”

Ah.

Usciamo dall’aeroporto e attendiamo la guida. Per darmi un tono, mi metto le mani in tasca dove, ovviamente, trovo piegata con cura la carta di imbarco.

Per fortuna Bagan, con i suoi 3000 templi, è strabiliante e lascia senza fiato.
E quindi mi dimentico di Air Cambogia, delle montagne troppo vicine, della carta di imbarco e soprattutto che fra due giorni questo dramma si ripeterà dal principio.

Lady B.


Big Mess!

“No Madame. Oggi Chander non può venire perchè a casa di Madame G. c’è davvero un big mess”

Facciamo un paio di passi indietro.
Quando questa conversazione si è svolta io versavo in uno stato di disperazione totale poichè, come spesso accade, si stava verificando una morìa incontrollata di elettrodomestici unita al fatto che non avevo assolutamente voglia di occuparmi della questione. Dunque, con grande forza d’animo, avevo deciso di delegare tutto. A Arti o, se proprio Arti non fosse stata disponibile, a Chander.

L’assenza di quest’ultimo era un problema, visto che Arti mi aveva fatto garbatamente notare che lei si occupava di tutto ciò che riguardava la cucina ma non del resto.

“Ma che è successo da Madame G?”
“No, non puoi capire Madame. VeFeatured imageramente un big mess”
E, per rendere meglio l’idea, ha iniziato a gesticolare in un modo che manco un romano subito dopo una rissa.

Sento la mia metà migliore e riporto l’accaduto, non fosse altro perchè Madame G. è una nostra amica e ci sembrava veramente strano che a casa sua fosse scoppiato un uragano.Avrà fatto un festone senza invitarci? I ladri? E’ impazzita e ha rovesciato tutto per terra?

Le ipotesi non sono andate avanti a lungo perchè “Madame, il gatto si sta mangiando tutte le tue palmette”. Quindi la rappresaglia da compiere sul felino mi ha fatto dimenticare dell’assenza di Chander e del big mess.

Qualche giorno dopo, a cena, parliamo con Madame G.
Che ci racconta un po’ di cose, tra cui il fatto che stava disperatamente tentando di cambiare la disposizione dei mobili in alcune stanze. Da sola. Se fosse stata un donnone di 80 chili per due metri di altezza, la questione non avrebbe avuto rilievo. Ma ella è minuta e immaginarla mentre trascina cassettoni pesantissimi in giro per casa immersa nella calura indiana ci aiuta a capire meglio il “disperatamente” iniziale.

“Ma proprio non capisco. Io cambio la disposizione e la sera, quando torno a casa, me li ritrovo tutti come erano prima” dice, ormai completamente sconsolata.

A quel punto a noi è tutto chiaro. Madame G. ha commesso un errore madornale. Ha sottovalutato Chander il quale, mal tollerando mutamenti anche, per dire, a casa di altri, ogni volta che entrava nella dimora di Madame G. si faceva venire lo scorbuto perchè tutti i mobili erano stati spostati, causando un BIG MESS. Un gran casino, insomma.
Che poteva fare dunque il buon uomo? Stringersi nelle spalle e pensare, al limite, che la sua datrice di lavoro era impazzita ma lasciar tutto come aveva trovato oppure non chiedersi nulla e rimettere tutto a posto al millimetro?
A questo interrogativo vi è solo una risposta.

Rimane da riflettere su questo. Se Madame G., signorina minuta e aggraziata, ci mette 40 minuti per spostare i mobili, come è possibile che Chander ci metta circa sei ore e si presenti a casa mia sudato, distrutto e con delle occhiaie che farebbero l’invidia di Tom Waits?

A questo interrogativo invece non vi è proprio risposta.
Tranne che in India funziona sempre tutto al contrario

Lady B.


Una storiella omertosa

Dunque, oggi vorrei toccare un argomento un po’ spinoso. Quelle cose di cui nessuno parla mai. Ma devo per forza così, la prossima volta che dovesse venirmi in mente di fare qualche sfregio a qualcuno, ci penso un paio di volte.
Niente giri di parole. Si discuterà dell’annosa questione del cesso.

Mi sono già dilungata sul fatto che quell’infame del proprietario di casa ci ha sfrattato e sul fatto che noi non eravamo propriamente d’accordo. La mia metà migliore, essendo appunto migliore di me, aveva preso le cose con filosofia. Io invece no. Quindi, non trovando di meglio, ho deciso di otturare lo scarico di un gabinetto utilizzando la sabbietta sporca del gatto. E poi, non contenta, l’ho detto ai quattro venti.
La sera successiva, i sensi di colpa. Non miei, io sono una persona orribile e non ho quasi mai sensi di colpa, ma della mia metà migliore.
“Senti, non è giusto, dovremmo andare a sturare quello scarico.” mi dice. Io, in silenzio, continuo nella mia attività di rimozione delle doppie punte. E l’argomento muore lì.

Il giorno dopo, a casa nuova, l’inferno. Ventritrè traslocatori, il gatto assatanato, la maid col marito e il driver. Tutti dentro l’appartamento. Mi suona il telefono. “Guarda, ci ho pensato. Lo faccio io. Io voglio sturare lo scarico. Chiedi solo se Arti può procurarmi dell’idraulico liquido” “Ok. Sappi che io su tutta questa faccenda non sono mica d’accordo. Comunque glielo chiedo e ti mando Satish in ufficio con l’idraulico liquido e un secchio”
Finita la conversazione vado da Arti, che stava parlottando con Satish, il driver, e le chiedo, per l’appunto, se può rimediarmi dell’idraulico liquido. Lo farei da me ma non saprei nemmeno dove cercare.
Mi guarda con occhi di fuoco e mi trascina in un angolo. “Madame, sei pazza? Che fai, mi chiedi di occuparmi del gabinetto davanti a Satish?” “Oh, beh. No ecco. Chiedevo solo se sapevi dove prendere dell’idr…” “shhhhh! Madame! Io non mi occupo delle cose del cesso. E se lo faccio, deve rimanere un segreto. Quindi ora vai da Satish e chiedi a lui di rimediarti queste cose.”
Non so cosa dire. Torno nel salone ma nel frattempo, ai traslocatori a Satish e al marito di Arti, si sono aggiunte 5 persone.
“E voi chi sareste?” chiedo “Io sono il tappezziere. E questo è il mio aiuto e questo qui è l’aiuto del mio aiuto. Prepara il tè” Capisco. E con orrore mi ricordo che avevo chiesto al buon uomo di farmi delle tende. Ma, mai pensando che sarebbe arrivato puntuale, gli ho fissato appuntamento nel momento più incasinato della settimana. Memo per me. I tappezzieri indiani sono puntuali. “Ok.” dico “Montate pure le tende” “No madame. Ora noi ci mangiamo una cosetta per terra e poi inizio a cucirle” “Non sono già cucite?!” “No. Ovvio.” Ovvio. Fai un po’ come te pare. Comunque ci sono altri due figuri che proprio non so chi siano. “E voi?” “Io vendo tappeti e lui è mio cugino. Vende statue di legno” Statue di legno che spuntano da un borsone che ha suscitato l’interesse vivo del gatto. Onde evitare che il medesimo decida di usare il borsone come lettiera, sbatto i due fuori di casa.
Il tappezziere tira fuori una macchina da cucire del 1914 e inizia a fare un baccano infernale. Cuce le tende.

Mi suona il telefono “Ricordati l’idraulico liquido”
Vado da Satish, che sta davanti a Arti, e gli chiedo di portare in ufficio dall’idraulico della mia vita, tutto il materiale richiesto. Satish impallidisce visibilmente.
“Che c’è?” Chiedo “Madame. Non posso andare in ufficio e farmi vedere con lo sturacesso. Poi la comunità dei drivers mi prenderebbe in giro. Qui queste cose non si fanno”
E se uno scarico si ottura? Mi chiedo tra me e me.
“Vabbè allora nascondi tutto nel portabagagli della macchina…così non ti vede nessuno”
“No. Chiamiamo il negozio e facciamolo arrivare al cancello principale dell’ufficio…”
Chiamiamo. Nessuno risposta.
Si arrende e va a comprare quanto richiesto, con l’accortezza di nascondere tutto.
“E, mi raccomando Madame. Di al boss di rimanere vago eh…non mi deve chiedere niente.”

Da questo momento in poi, una storia di omertà
Metà migliore: “Ehi Satish…” sottovoce “Hai preso QUELLE COSE?”
Satish:”Si Sir. Sono nel portabagli Sir”
MM “Satish andiamo a casa vecchia che devo fare ALCUNE COSE”
S “Si Sir. Io ti aspetto di sotto Sir.

Inutile dire che l’intervento della mia metà migliore in giacca e cravatta non ha intimorito per niente il gabinetto otturato poichè la sabbietta del gatto è diventata più dura della malta. Quindi a fine giornata la mia metà migliore è intossicata dai fumi chimici dell’idraulico liquido, il gabinetto invece è orgogliosamente intasato.

Il giorno dopo.
Satish: “Sir…come sono andate QUELLE COSE a casa vecchia?”
MM “Molto male Satish.”
S “Sir. Vuoi che vada con i miei cugini a vedere UN PO’ DI COSE?”
MM “Satish, mi sarebbe di grande aiuto. Grazie.”
S “Certo Sir, è un piacere Sir.”

Ancora non ho tratto una vera e propria lezione da tutto questo. Tranne che, a volte, l’omertà è una virtù.

Lady B.